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C’è un sottile confine tra il lasciarsi andare e cadere, tra il rinunciare e il continuare, ma non esistono parole o regole che governano questo mondo fatto di equilibri, trazioni, paura del vuoto, di farsi male. Esistono altri mondi che non appartengono alla carne, altri destini che nascono e muoiono in un giorno, altri ancora che resistono al tempo. Ci sono uomini assetati, donne affamate, e ci saranno ancora per molto tempo, fino a quando l’ultima goccia sarà stata bevuta, l’ultimo pezzo di pane inghiottito. E ci saranno ancora lacrime: mai abbastanza. E ci saranno ancora grida a frantumare queste deboli orecchie, che altro non possono fare che ascoltare. Fino a quando quell’ultima debole luce rimarrà accesa, io continuerò a credere che ancora ci sia la possibilità, anche solo per un uomo, di salvare se stesso e il cuore che porta aggrappato a se, nella scintilla di buio che precede l’inizio del giorno, che brilla fino all’ultimo, quando il nuovo giorno avrà dimenticato il male e sarà pronto ad accettare un’altra giornata macchiata di sangue, di inganni e violenza. Allora forse il mondo si fermerà per un momento, per riprendere il suo cammino inverso, perverso, concluso. Allora spero di non esserci, spero di non sentire l’odore della morte, di non essere più carne.

MILLE VOLTI SENZA VOLTO (pt.2)

Genova, dove uomini raccolti ai bordi delle strade richiamano l’attenzione, chiedendo qualche sporca moneta, da infilare in altrettante sporche mani. Mani che lucidano sotto gli occhi impolverati piccole monete che risuonano dentro ai pugni, come piccoli strumenti di tortura, non ci sono abbastanza monete per riempire le mani, sempre troppo vuote, non ci saranno mai abbastanza monete. Gli occhi degli uomini si rispecchiano costantemente attraverso l’indifferenza di tutto questo mare, che stravolge anche l’uomo meno sensibile, che rende assuefatti delle piccole cose, che nasconde tutto quello che varrebbe la pena di amare. Gli occhi sono quasi chiusi, la notte è passata senza lasciare nessuna traccia nei ricordi, come quelle notti che sono venute dopo, e ancora dopo. Il mare sfrutta la forza costante della perdizione, del ricordo che svanisce lentamente dopo una sbornia, attraverso quest’acqua con le scarpe inzuppate, senza capire il mondo per quello che è. La città rende libero l’uomo schiavo, e rende schiavo l’uomo libero. Il sogno della città, rimanere immutata nel tempo, crescere attraverso tempi assimilati nella giusta misura, senza fretta, la vita ha il suo tempo, ogni frutto verrà colto alla giusta maturazione. Ogni piccolo particolare sarà cresciuto nel tepore, tenuto al caldo nell’attesa di un uomo, di una donna che lo saprà cogliere, che lo farà vivere nel ricordo, quando il giorno più lungo non basta per sopravvivere.
Genova mondo sommerso, dai mille volti senza volto. Acqua che ingorga i sorrisi, che vomitano acqua, bocche senza respiro, occhi senza occhi, bocche sdentate, terra incolta. Genova, figlia, madre di una città primitiva, strade aggrovigliate, pensieri che si contorcono sfuggendo al destino predefinito. Uomo della città, uomo delle strade. Perdita di coscienza, vicoli a perdersi, un equilibrio a perdere. Ti osservo dal mio canale di scolo, dove sembra possibile gettarsi senza sentire dolore, dove è possibile perdere la sostanza, il nome, il numero di riconoscimento. Luogo, gabbia, non luogo, coscienza, coercizione, isolamento, nulla, un bicchiere mezzo pieno, realtà condivisa, isolamento.

MILLE VOLTI SENZA VOLTO (pt.1)

La Genova che conosco è quella dai mille volti senza volto. Quella dei perché senza risposta, delle risposte senza perché. La città dei visi illuminati, dei mercanti di spezie, del porto, dei portuali, delle mani sporche, callose, che sanno di tabacco, che toccano in profondità le bocche aperte di giovani donne dal cuore spezzato. La città delle bocche che bevono latte, senza un padre in grado di consolare il pianto. Questa è la mia città, il suo ricordo persiste dentro ai miei pensieri. Genova, quella che conosco, quella che non conosco; è tutte quelle strade che mi hanno visto ondeggiare ubriaca, che mi hanno visto cadere e poi rialzare. Ci sono pietre su cui ho sbattuto la faccia, senza versare una goccia di sangue, dove ho sboccato piegata in due, sulle ginocchia deboli, con i capelli incrostati di vomito e spezie.

Le strade sono tutto e niente allo stesso modo in cui io, sono tutto e niente. Il primo ricordo risale alle strade strafatte di odori, incenso e spezie dai mille sensi, voci locali, dialetti, voci straniere che percuotono tutto questo pezzo di cielo, che sembra sospeso sopra le dita di mille mani, teso solo da un soffio, un pezzo di cielo pronto a cadere, a rovesciare l’ordine delle cose. La strada è la puttana più bella del mondo, ogni sera percorre la sua passerella, protagonista della notte, filtrata tra le voci, negli ultimi passi prima dell’alba, tagliuzzata da un groviglio di lame, da spiragli di luce, dove una carezza è allo stesso tempo uno schiaffo, una parola che andrà a conficcarsi in mezzo alle costole, per scarnificare e sfilacciare la carne del cuore.

Il caos è tutto quello che porto in dono, perché altro non c’è nelle mie tasche. Sono tasche bucate con pochi spiccioli, tasche ripiene di desolazione. La mia solitudine, la tua solitudine che sfiora una parola non detta, una parola sussurrata, leccata senza coscienza.

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Sei dentro di me come una pietra che resiste nonostante l’acqua cerchi di spezzarla, nonostante le correnti avverse, le acque gelide. Ti porto con me, come uno spirito introverso che si attacca disperatamente alla vita, come un vento che brucia questa terra incolore. Mi attacco a te come un’ombra, senza mai lasciare la tua pelle, senza dimenticare ogni parola sussurrata durante queste maledette notti vergini. Voglio svenire dentro di te e addormentarmi per un po’, solo un attimo con gli occhi chiusi. Non ho bisogno di nient’altro.

La morte dell'amore


Vedo ancora quelle labbra, le sento su di me come ghiaccio che si fonde sul cuore, che sconvolge i sensi. Sono un cavaliere dall'armatura scintillante, così faccio credere per proteggere il cuore.
Quelle labbra...quell'amore, troppo forte, così forte da non poter fare altro che ucciderlo, così strano da non poter desiderare altro che di perderlo.

Il segreto del cuore


E alla fine il cuore cede se stesso fino all'ultima goccia, desiderando quel corpo, quei baci strappati, quell' amore violento che non sopravvive a se stesso.
Eccolo: il segreto del cuore, trasparente e inconsolabile.
Eccolo che scivola davanti ai miei occhi, mi sfiora le labbra: e muore.

un volo

Sotto un cielo che brucia nel cuore, dentro a parole di fuoco che brillano e scivolano come serpenti tra le mani, senza mai fermarsi, ritrovo me stessa.
Sull'orlo del baratro spicco il volo, senza voltarmi.
Spicco il volo.